Mi chiamo Lucy Barton – Elizabeth Strout 27 Gennaio 2016 – Posted in: Narrativa straniera Mi chiamo Lucy Barton Elizabeth Strout Einaudi Lucy, moglie e madre di due bambine, costretta in ospedale da una brutta infezione post-operatoria, viene sorpresa dall’arrivo della madre che non vede da molti anni. L’incontro è tanto naturale quanto inconsueto: le due non si parlano da molto tempo, tanto che la madre non ha neppure mai visto le nipoti. Eppure una certa complicità riparte subito, dal modo in cui la madre si comporta: come se non fossero mai sparite l’una dalla vita dell’altra. Si ricollegano fili, si raccontano storie, le tante storie delle persone che la giovane donna ha lasciato nella città natale e si rivivono le atmosfere chiuse e rurali di certe zone degli Stati Uniti, fatte di riunioni in chiesa e pettegolezzi, sterminati campi di granoturco, vestiti dall’orlo sdrucito e discriminazione sociale. Torna indietro con la memoria all’indigenza patita e che l’ha forgiata così com’è, alla voglia e la necessità di farcela da sola, all’abbandono del nido famigliare a costo dell’incomprensione, alla dignità ostinata e ottusa dei suoi genitori che non l’hanno mai perdonata per averli “traditi” preferendo loro un’esistenza non tanto più agiata quanto semplicemente “diversa” da quella che era toccata in sorte a loro. “William” racconta la donna “si offrì di portare i miei genitori e mio fratello e mia sorella a cena in un locale a loro scelta, in paese. Io mi sentii avvampare come un tizzone acceso quando lo disse; mai, come famiglia, avevamo mangiato al ristorante, neanche una volta. Mio padre gli disse: – I suoi soldi non servono qui”. Attraverso i racconti dei famigliari, delle persone conosciute, Lucy cerca di trattenere la madre, fare in modo che non se ne vada, giorno dopo giorno, arrivando a temere la dimissione dell’ospedale: un Mille e una notte moderno dove chi vuole salva la vita, al contrario di Sherazade, non è chi narra ma colei che ascolta. Il passato è limpido, mai offuscato, in grado di sembrare vivo come il presente. Attraversiamo la vita di Lucy che mai ce la descrive grama come quel che è stata, mai con i toni rancorosi che ci si aspetterebbe ma con semplicità disarmante, trovandola non solo come figlia ma anche come moglie e madre lei stessa, alle prese con le difficoltà di una ragazza di campagna che cresce due creature in una città frenetica e cosmopolita come New York. Mi chiamo Lucy Barton è una storia d’amore, disperato e inaspettatamente razionale, in cui perdono e accuse si rincorrono diventando alla fine l’espressione dello stesso irreplicabile, stridente sentimento che è l’amore tra madre e figlia. Elizabeth Strout, vincitrice del premio Pulitzer nel 2009, conferma con questo breve romanzo la sua bravura, la sua capacità di centrare l’obiettivo con poche, essenziali parole. In breve: consigliatissimo. Recensione di Silvia ACQUISTA Share your thoughtsPlease do not use offensive vocabulary. Annulla risposta